Tutti i dipinti in questa pagina sono stati realizzati con la tecnica delle velature castane sovrapposte. Per alcuni ho usato solo il colore castano, che con varie velature e dosature di diluizione ad olio arriva a formare gradazioni di tonalità dal castano scuro al giallo chiaro. L’effetto finale è particolare, diverso dalla pittura con i colori ad olio sfumati o mischiati per raggiungere le varie tonalita, soprattutto negli incarnati, per questo continuo ad usare questa tecnica da alcuni anni.
La tecnica è ripresa dalla pittura quattrocentesca di cui ho cercato di mantenere anche la luce interiore tipica dei dipinti di quel periodo e delle icone precedenti.
C’è bisogno di un po’ di ironia quando si guarda questa mia serie di quadri, le mie rappresentazioni hanno spesso piu’ chiavi di lettura.
Mi piace dipingere il corpo umano soprattutto quello femminile, la natura ci fornisce da sempre il meglio di ciò che può essere un ottimo soggetto.
Le mie donne con teste di leonesse o leopardo, comunque feline, sono simboliche dell’unione dell’essere umano in quanto razionale, e la sua parte animale, piu’ istintiva, con tutte le caratteristiche che ne consegue: la sensualità, la sessualità, l’emotività che la nostra parte animale percepisce e che la nostra parte razionale deve gestire.
Mi ispiro ai classici nello stile levigato e curato del dettaglio, la pittura rinascimentale e’ stata forse la vetta più alta della qualità figurativa anche se non prediligo i soggetti di quel periodo, spesso obbligati da una committenza precisa e dominante che lasciava poco spazio alla pittura di soggetti liberamente scelti dagli artisti.
Quindi unisco la predilezione per lo stile classico quattrocentesco che creava le rotondita’, le ombreggiature attraverso una sovrapposizioni di molte, finissime velature, ad una più moderna componente surrealista per poter liberare l’immaginazione e comporre giochi figurativi dove si puo’ inserire di tutto.
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Rappresentazione di una caccia di Cupido. Sulla sinistra c’e’ un melograno con fiocco rosso, simbolo di fertilita’, in basso a destra citazione di vaso etrusco. Quadro provvisto di cornice in legno color oro anticato.
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Dalla famosa frase di un noto politico italiano degli ultimi anni, nasce questo quadro che vuole rappresentare lo stato confusionale dell’Italia, personificata in una bella donna credulona che si guarda allo specchio amareggiata dai tanti difetti che su di lei trova una donna dal volto di leopardo. Da lei le vengono promessi castelli… ma di carte, a condizione che segua i suoi consigli. Così si susseguono i politici, scartati perchè reputati non adatti. Berlusconi, Letta, Prodi, Monti e anche Papa Ratzinger, giacciono per terra mentre Renzi, poi Salvini, poi Grillo si preparano a gustare l’attimo di gloria prima di essere scaraventati giù a loro volta, come tutti i personaggi che seguiranno, caricati a molla con la chiavetta come giocattoli. Ognuno pronto a pugnale alle spalle l’altro, ognuno pronto a dirgli prima :”State sereni!”.
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Omaggio a “L’Abbraccio” di Egon Schiele. Non poteva essere un omaggio degno di questo nome al pittore austriaco se non avessi rappresentato, come faceva lui, le forti pulsioni emotive, la sessualita’ e la trasgressione. Tra tutte quelle contemporanee, ho scelto l’amore saffico, un abbraccio dove piu’ che l’affettivita’ predomina una aggressiva sensualita’.
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Allegoria di tutto cio’ che puo’ portare piacere ma senza frutto, spesso placebo o trappola in cui restare ingabbiati. Come Ulisse nella terra dei Feaci, dove una felicita’ innaturale gli faceva dimenticare cio’ che veramente era la sua missione, cosi’ le sacerdotesse del culto di Saffo, attratte dalle femminili carni, dimenticano qual e’ la loro missione biologica, ovvero trovare un compagno per procreare. Ispirato alla poetessa di Lesbo e alle sue seguaci,questo dipinto auspica la speranza che non abbiano perso del tutto l’interesse per l’universo maschile e che, latente ci sia ancora la naturale passione.
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La mia interpretazione del mito di Proserpina. “Proserpina (lat. Proserpina) e’ la versione romana della dea greca Persefone….. in origine, fu senza dubbio una dea agreste…..era figlia di Cerere; rapita da Plutone re dell’Ade mentre coglieva i fiori sulle rive del lago Pergusa a Enna e trascinata sulla sua biga trainata da quattro cavalli neri, ne divenne la sposa e fu regina degli Inferi. Secondo Proclo….. invece l’episodio del mito si verifico’ a Hipponion (oggi Vibo Valentia). Dopo che la madre ebbe chiesto a Giove di farla liberare, pote’ ritornare in superficie, a patto che trascorresse sei mesi all’anno ancora con Plutone. Cerere faceva calare il freddo ed il gelo durante i mesi in cui la figlia era assente come segno di dolore, per poi far risvegliare la natura per il ritorno di Proserpina sulla terra. A Proserpina erano dedicate le Cotittie, antiche feste erotiche nate in Tracia e poi diffusesi nel resto della Grecia.” (Wikipedia)
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Questo dipinto nasce come allegoria della Toscana, alla base della colonna ci sono infatti un cratere etrusco e “L’Ombra Della Sera”, l’enigmatica scultura divenuta simbolo degli Etruschi ma che non ha eguali tra gli altri manufatti del tempo. Terra intrisa di misticismo e segreti arcani dove, anche se a pochi chilometri di distanza, le citta’ sono ben distinte le une dalle altre e solo l’era moderna ha mitigato le lotte andate avanti per secoli.
collezione privata
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Se la sfinge era l’essere mitico dal corpo di leone e la testa di donna che poneva le domande e pena la morte era di chi non sapeva la risposta, Egnifs (Sfinge al contrario) é il suo opposto, ovvero l’essere dal corpo di donna e la testa di leone che sa le risposte. Il quadro e’ corredato di una scritta in colore oro acrilico dove appunto si recita :”Se la Sfinge fa le domande, Egnis sa le risposte”. E’ un gioco di parole e di immagini che mi è venuto in mente vedendo i miei soggetti, dal corpo umano e dalla testa di felino, simbolici dell’unione delle qualità umane (razionalita’), con quelle animali (emotivita’, istinto).
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La mia personale interpretazione di Marte liberamente ispirata al “Marte” di Diego Velazquez del 1640
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Dipinto realizzato per la mostra allestita in occasione dell’inaugurazione del Museo Guglielmo Marconi a Coltano.
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Di ispirazione mitologica “Ninfe” vede al centro Artemide (o Diana), la dea cacciatrice e Selene, la dea identificata con la luna piena.
La luna fu simbolo del divino anche presso i Rasna, popolo di non accertata provenienza che si fuse con la civiltà etrusca. Di loro restano inequivocabili i reperti di rasoi a forma di mezza luna, uno di questi è rappresentato nell’orecchino di Artemide.
Intorno alle dee ci sono ninfe, quella di sinistra è liberamente ispirata a Eva dell’”Adamo ed Eva” di Tiziano, l’altra di destra è liberamente ispirata a un dipinto del pittore anacronista francese William Adolphe Bouguereau.
Sullo sfondo ci sono due personaggi femminili con testa felina che ho inserito in molti dei miei quadri di questa serie.
Il quadro è dipinto tutto con vari gradi di diluizione del colore castano e solo poche pennellate di rosso per definire i fiori al centro.
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Se trovaste un uovo d’oro che fareste? Indovinello-allegoria della predisposizione ad affrontare una situazione da parte degli esponenti del genere umano secondo le proprie attitudini caratteriali. Ognuno reagisce a suo modo: chi e’ avvelenato avvelenera’, chi e’ predisposto ad apprezzare apprezzera’, chi e’ avaro agira’ di conseguenza ecc.. Ma qual e’ la cosa piu’ intelligente da fare?
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“Non dirlo a nessuno” è la frase tipica che conclude una confidenza fra donne, ma si sa che una cosa veramente segreta non si racconta a nessuno e quando lo si fa siamo consci del fatto che si spargerà la voce. “Non dirlo a nessuno” diventa quindi il sottinteso comando “dillo a tutti”, ci penseranno poi le confidenti ad appuntarsi il segreto, raccontarlo, ampliarlo, distorcerlo, fino anche ad usarlo contro chi glielo ha sussurrato. “Non dirlo a nessuno” è anche la frase che si usa accompagnando il racconto di un sogno ad un amico o ad un’amica, un sogno inteso come desiderio nascosto che non va svelato per scaramanzia, una parte così intima che quando lo si racconta ci sentiamo nudi.
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Una delle più grandi tragedie del nostro tempo, fin da quando l’immigrazione è diventato un fenomeno di portata massiccia, è stata la strage di migranti in mare. Un numero sempre maggiore di persone trova la morte al largo delle coste mediterranee, persone cariche di sogni come le barche che le portano sulle nostre rotte, spesso pagano con la vita il tributo per la speranza di una esistenza migliore. Ho voluto rappresentare questa tragedia che si rinnova continuamente, ispirandomi ad una tela ottocentesca del maestro Theodore Gericault, dove cercò di rappresentare i nefasti eventi avvenuti in quell’epoca a bordo della nave “Medusa”, o meglio della zattera che rimase unica, precaria possibilità di salvezza dopo il suo naufragio.
Di zattere, barconi, gommoni, siamo costretti a vederne molti nelle cronache dei telegiornali con a bordo lo stesso carico di speranza e disperazione descritto dal maestro francese, ho voluto però aggiungere anche un’altra valenza al soggetto del quadro, perchè anche l’Europa, meta agognata dei tanti naufraghi moderni, è essa stessa preda di onde, pericoli e conflitti per cui ogni personaggio rappresenta anche uno stato che fa parte dell’Unione Europea. L’Europa che appare come meta paradisiaca è in realtà in balia di potenze molto più forti di lei e in mezzo a questo trambusto che è come un mare in tempesta, vaga sbattuta dalle onde e dal vento alla ricerca di soluzioni a problemi sempre più allarmanti.
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Ispirato dall’affresco dei leopardi, opera etrusca del 473 a.c. situato a Tarquinia, nasce questo guerriero etrusco
moderno che porta lo scudo e la spada dell’antico popolo ma calza un paio di Jeans.
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Guerriero con cintura, spada, elmo e bracciale ripresi da reperti etruschi.
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Dipinto liberamente ispirato ai guerrieri vichinghi chiamati “Berserkir” e “Ulfhednar”, le cui leggende narrano combattessero con copricapo di testa animale e che nel furore della battaglia si trasformassero essi stessi in animali selvaggi.
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Liberamente ispirato nei costumi ai gladiatori, fa parte della serie di “guerrieri con testa di animale”.
Sullo sfondo sono scritti in color oro acrilico, cenni della storia dei gladiatori.
“I Gladiatori comparirono a Roma nel III° sec. a.C come spettacolo di contorno alle cerimonie funebri. In principio il loro equipaggiamento derivava da quello militare, infatti gli elmi erano dotati di paranuca e paragnatici con cimiero ornato di piume. Furono divisi in categorie dall’Imperatore Augusto nel I° sec. d.C. e presero il nome dalle armi che usavano, dal loro modo di combattere o dalla provenienza. I primi gladiatori furono i Samnites=Sanniti, i Gallus=Galli e i Traex=Traci e dovevano rappresentare i nemici di Roma nell’arena ma anche rievocazioni di battaglie famose. In seguito le armature e le regole di combattimento rimasero invariate per secoli. Tra i più famosi tipi di gladiatori dopo il I° sec. d.C. furono: il Trace che combatteva usando la sica, una breve spada ricurva per colpire l’avversario nella parte posteriore; l’Oplomaco che aveva la lancia o il gladio; il Mirmillone che aveva un grande scudo rettangolare; il Reziario che usava una rete; il Secutor con spada affilata.”
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Guerriero del mitico popolo Shardana, di cui si sono trovati i resti in Sardegna. Alcuni secoli a.C gli Shardana avevano fondato un loro impero nel Mar Mediterraneo, furono abili navigatori e mercenari richiestissimi. Come altre popolazioni del sud Italia, portavano l’elmo con corni ricurvi e caratteristiche protuberanze, in più avevano uno scudo in cui erano conficcate lame pronte all’uso. L’armatura era fatta probabilmente di strisce di cuoio e metallo, ricopriva interamente la figura come nelle statuine ritrovate che li rappresentano, stranamente slanciati. Forse non autoctoni della Sardegna, potrebbero essere stati legati a Shardan, guerriero mitologico che nell’isola divenne famoso e che le dette il nome. Forse provenienti dalla Grecia per guerreggiare o naufragati, vi posero la loro base e vi rimasero quando altre popolazioni conquistarono le loro colonie sulle coste mediterranee. La mia versione è liberamente ispirata, più massiccia, con il petto nudo e riadattata alla fisionomia sarda moderna.
Sullo sfondo sono scritti in color oro acrilico, cenni storici di questo popolo.
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I Berserkir ( singolare Berserkr) furono mitici guerrieri del popolo vichingo, combattevano coperti di pelle e con il copricapo di testa di orso, talvolta senza armatura, a mani nude o con grandi asce, si narra che fossero pervasi dal furore e nella foga della battaglia si trasformassero in bestie selvagge o in veri e propri orsi. Imbattibili guerrieri, si dice che non sentissero il freddo e la fatica, che fossero invulnerabili e avessero una forza sovrumana. Furono impiegati come truppe d’elite o si riunirono in bande saccheggiatrici. Alcuni furono famosi guerrieri, altri divennero re, la loro fama popola i miti scandinavi.
Sullo sfondo sono scritti in color oro acrilico, cenni storici sui Berserkir e alcuni versi del Capitolo VI° della saga degli Ynglingar di Snorri Sturluson (1179-1241), poetae e storico islandese. “….Né il fuoco né l’acciaio potevano niente contro di loro. Questo si chiamava furore di Berserkir…”
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Allegoria del genere umano, che tende ad osannare chi è illuminato dalla gloria e a dimenticarlo in fretta quando non lo è più.
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Ispirato ai bronzi della scultura “I 4 Mori” di Livorno eseguiti da Piero Tacca nel 1626 e al periodo di lockdown dovuto al Coronavirus.
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Ispirato ai versi della Divina Commedia del sommo poeta Dante che descrivono il girone dei “lussuriosi” dove chi si è fatto travolgere dai sensi in vita viene scosso da un vento incessante nell’aere scura per l’eternità.
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I girasoli di Van Gogh racchiudono misteri, non solo per il modo in cui sono stati dipinti, innovativo e maniacalmente studiato nell’interpretazione di luci e ombre con colori innaturali e enfatizzati, ma anche per il loro contesto. Van Gogh non ha mai dipinto campi di girasoli, ha dipinto centinaia di campi di grano o altro ma mai campi di girasoli, e questo è molto strano perchè era il suo soggetto preferito e ne era circondato, c’è solo una leggenda, forse diffusa in età moderna che narra di un quadro di campi di girasoli di Van Gogh che però lui stesso distrusse.
I girasoli di Van Gogh sono in posa, in vasi su tavoli di interni o appoggiati lì, uno, o poco di più per volta.
La simbologia del girasole è nota e deriva dalla sua qualità più conosciuta per cui, come un po’ tutti i fiori si sposta in direzione della luce e ovviamente all’aperto in direzione del sole, la grande chioma ne evidenzia però questa particolarità in modo eclatante. I campi di girasoli quindi appaiono tutti sempre girati verso la stessa parte, come una schiera di persone che osservano tutti lo stesso avvenimento. Per questo motivo sono stati usati in modo allegorico anche da artisti che li hanno presi a soggetto per indicare moltitudini di persone che si rivolgono ad un unico punto di riferimento, un vate da cui traggono sostentamento emotivo. Ne sono esempi alcuni quadri di Anselm Kiefer, quando ancora era forte la sua critica al regime nazista, dove i girasoli si ergono come un esercito davanti al suo comandante o appassiscono quando non c’è.
Ed è forse per questo motivo che Van Gogh ne dipinse solo alcuni per volta, lui che cominciò la sua esistenza cercando di divenire predicatore di moltitudine di anime e la concluse come un vate, idolatrato da pochi che come i suoi pochi girasoli dei quadri lo guardavano estasiati.
Nel quadro “I Girasoli Ti Guardano Fino A Quando Il Sole Ti Illumina” ho voluto omaggiare Van Gogh inserendo un girasole con tutta la simbologia di cui è carico, quale allegoria di un pubblico, una massa, un insieme di personaggi pronti ad elogiare chi al momento è al centro dell’attenzione per meriti di vario genere ma anche per luce riflessa di altri, e pronti ad ignorarlo quando non lo sarà più, perché i girasoli non hanno anima e si voltano sempre e solo in direzione della luce, che sia falsa o reale, che sia giusta o sbagliata ai girasoli non interessa.
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Tra le varie figure che vogliono rappresentare le fasi emotive della sessualità c’è una citazione: il bellissimo quadro “Lilith” che il pittore inglese John Collier dipinse nel 1887. Assieme all’altra figura di donna dalla testa di leopardo simboleggiano nel mio quadro le tentazioni. La figura centrale simboleggia invece l’attrazione dal viso sorpreso e piacevolmente colpito da ciò che sta guardando. Nella parte di sinistra i due personaggi sono impeganti nel sedursi a vicenda usando tutta la loro fisicità.
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acrilico su tela 60×80 cm – 2023
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acrilico su tela 60×80 cm – 2024
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acrilico su tela 60×80 cm – 2024
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Michele Maioli 